" E' COSI' CHE SUCCEDE? "

Le luci. Si accesero le luci e la strada rischiaro'. Colori
rosso verde azzurro e giallo si mischiarono fino a riflettere
tutti insieme contro le case, i tetti e i negozi del centro.
Non erano rimaste che poche ore per gli acquisti. Lungo i
marciapiedi si affollarono i ritardatari, uomini e donne. Ognuno
stava addosso all'altro, e comunque mai in fila, tuti alla
ricerca di un vestito, di un profumo, di qualcosa che concedesse
loro l'illusione della felicita'. Io li osservavo dalla finestra
con il naso schiacciato contro il vetro. Procedevano
confusamente, senza una meta precisa. Correvano, ed io lo
guardavo sudsare e dannarsi l'anima fuori e dentro i negozi, in
fondo ad ogni via.
Verso le cinque il trillo del citofono si fece sentire. Pensai
subito che fosse Gianni, anche se era in anticipo rispetto
all'ora stabilita. Mi infilai il cappotto ed uscii da casa.
Parcheggiato in seconda fila, Gianni mi stava aspettando.
Salii in macchina dissi: "Possiamo andare".
Dio, o qualcuno, mi salvi dall'inverno, pensai. Lo diavo. Non
esiste stagione pi' nemica ed assassina dell'inverno. Giravamo
per la citta' ed il cielo era suro. Nelle strade irrompeva la
nebbia e a folate gigantesche travolgeva incroci e semafori,
rendendoli invisibili. C'era il costante pericolo di investire
qualcuno , o di infilarsi, senza saperlo, dentro qualche vetrina
illuminata dagli sconti speciali.
"Come va?" chiese Gianni.
"Ho passato un esame" risposi.
"Bene! Diritto Penale?"
"Gia'. Col minimo..."
Poco dietro l'auto, dalla mia parte, un uomo robusto in
bicicletta ci stava seguendo. L'avevo notato alcuni minuti prima
perche' procedeva a ritmo sostenuto, cercando di tenere la nostra
scia. Ogni tanto ci riusciva, e si portava fino al mio fianco,
all'altezza della portiera.
Sfidando la nebbia e l'oscurita', il volante di Gianni zig-
zagava alla ricerca della traiettoria giusta.
Gli facemmo il pelo piu' volte a quel poveretto.
"Sta' atento" dissi a Gianni.
"Che succede?" fece lui, impegnato a tener d'occhio la linea
di mezzeria. Guardo' dallo specchietto retrovisore: giusto il
tempo di dire, "Oggi non si vede proprio un caz..." che un botto
risuono' dal paraurti.
"Oh Cristo!" esclamai.
Era fatta. L'uomo stava per terra, disteso sul marciapiede.
Vidi le ruote e i pedali del suo mezzo girare a vuoto per aria.
Bloccammo l'auto. Gianni fu il piu' lesto ad uscire e a
soccorrerlo.
"Come sta? Niente di rotto?"
L'uomo non rispose. Io recuperai la bici che stava qualche
metro piu' in la' e la rimisi in piedi tenendola per il manubrio.
"E' sicuro di star bene?" ripete' Gianni, "mi diaspiace, non
l'ho proprio vista. Ha bisogno di qualcosa?"
L'uomo si sposto' verso di me. Non era molto alto, il volto
era permeta' coperto dalle sciarpe di lana, ed i suoi occhi scuri
che parevano quasi uscire dalle orbite mi squadrarono. Vuoi
vedere che se la prende con me, pensai. Ebbi addosso il suo
sguardo folle per un pezzo, e non muto' espressione nemmeno
quando, con una certa violenza, mi strappo' la bici dalle mani.
Controllo' che catena e ruota fossero a posto,poi monto' in sella
e frettolosamente si allontano'.
"Ehi!" esclamo' Gianni, "Hai visto che roba?"
"Un pazzo" dissi io ."Sara' meglio andare, siamo in
ritardo..."

Ci vollero venti minuti perche' arrivassimo all'ospedale.
Dovevamo trovare un parcheggio libero, impresa assai ardua in
mezzo a tutte quelle macchine emotorini. Riuscimmo a piazzare
l'auto molto piu' avanti, nei pressi di un vecchio bar.
Scendemmo. Proprio sopra la nostra testa c'era un cartello:

DIVIETO DI SOSTA
RIMOZIONE FORZATA

"Al diavolo!" disse Gianni.
All'entrata dell'ospedale ci venne detto di seguire le
segnalazioni con la scrita ISOLAMENTO. Eravamo fortunati.
Cartelli di quel tipo ce ne erano ovunque. Seguimmo il percorso e
attraversammo viuzze dall'aspetto squallido e tetro. Poi, una
grande casa grigia, austera, ci si paro' davanti.
"Ci siamo" disse Gianni. Nel buio scorgemmo una grossa lettera
"A" dipinta a mano su un muricciolo: indicava le scale che
avremmo dovuto percorrere. I gradini erano stretti e numerosi, e
circondavano dall'esterno tutto il palazzo. Salendo, raffiche
d'aria gelida ci colpivano sul viso e lungo il collo.
"Di qua!" ordino Gianni, puntando l'indice.
Era lui che faceva da guida. Io gli stavo dietro e osservavo
mentre con eastrema facilita' si muoveva fra pianerottoli e
corridoi. Aveva piu' esperienza di me in fatto d'ospedali, per
operazioni, esami e qualche ingessatura ci aveva perso parecchi
mesi in luoghi come quello.
Approdammo finalmente in un terrazzino piu' lungo che largo,
dove, alla nostra destra, Gianni mi mostro' una serie di finestre
illuminate. Dentro, diceva, ci sono le stanze de ricoverati. Ne
passammo qualcuna. L'ora dei ricevimenti era gia' scattata, e
quasi tutti i malati se ne sdtavano in pigiama appoggiati al
davanzale; attraverso i vetri parlavano ai parenti e agli amici.
Io e Gianni ci facemmo strada fra i visitatori, esposti come
eravamo al freddo e alla nebbia. D'un tratto sentimmo
picchiettare contro un vetro. Ci voltammo. Era Luca.
"Salve ragazzi!" ci disse da dietro la finestra.
"Luca!" disse Gianni, "che ci fai da solo li' dentro?"
Notai che la finestra era chiusa da due lucchetti nuovi e
lucenti. C'erano tre letti nella stanza, ma uno solo, il suo, era
disfatto.
"Di' un po', sei cosi' pericoloso?"
"Ancora non lo so" disse Luca.
"Come sarebbe a dire non lo sai?"
"Be', devo ancora finire gli esami..."
"Vuoi dire che te ne stai qui dentro l'ultimo giorno dell'anno
senza sapere se hai questo cazzo di virus addosso?"
Luca annui'.
"Oh merda!" disse Gianni.
Cercai ,mentre parlavano, di non fare troppo caso ai due
lucchetti che ci separavano, anche Gianni, mi accorsi, era
piuttosto a disagio. Non era semplice far finta di niente, nonb
rendersene conto, e forse non era neanche giusto. Cercammo
mentalmente di toglierci di dosso quel vetro che ci separava, e
con qualche battuta di Gianni riuscimmo a tenere Luca un po' su
di giri. Da parte sua, Luca, ci svelo' alcune simpatiche cose
sulle infermiere, e in particolare su una, Maura, che gli teneva
spesso compagnia la sera. Disse che era una studentessa, e che
per meta' giornata veniva a fare pratica all'ospedale.
"Se capita qui, vel lafaccio conoscere" disse ammiccando.
Poco dopo arrivo' sua madre. Era una brava donna, e fu molto
felice di vedere me e Gianni chicchierare con suo figlio. Per
forza di cose la nostra conversazione ando' a saggiare i pasti,
le visite dei dottori e gli esami del mattino. Restammo tutti a
parlottare per circa mezz'ora; poi una signora con un camice
bianco ed un sorriso cordiale ci avverti' che l'ora delle visite
era terminata. Salutammo Luca, sua madre, e su invito
dell'infermiera ripercoremmo il tragitto inverso seguendo le
segnalazioni nel buio.
Appena fuori dall'opsedale Gianni, d'improvviso grido':
"La macchina!"
Di corsa andammo verso il bar dove l'avevamo posteggiata.
Quasi 300 metri senza toccare il suolo.
"Eccola!" disse Gianni recuperando fiato. C''era ancora, per
fortuna. Un biglietto stava attaccato al tergicristallo.
Gianni mi lancio' un'occhiata molto espressiva. Captai il
segnale: allungai il braccio e raccolsi il biglietto. Lo spiegai:

STASERA GRANDE FESTA PER ACCOGLIERE L'ANNO NUOVO
SIETE TUTTI INVITATI AL PALATENDA (riscaldato) DIVIA
MARCONI 21. C'E' POSTO E SPUMANTE PER OLTRE
MILLE PERSONE...

Appallottolai il foglio e lo gettai per terra.

Gianni fermo' l'auto proprio soto il mio portone. Era di nuovo
in seconda fila, ma in giro ormai non c'era piu' molta gente. Si
stavano tutti preparando per la grande serata.
"Ci vediamo dopo da Silvia" mi disse Gianni controllando
l'ora.
"D'accordo" risposi, !a piu' tardi. Ciao"
Gianni riparti'. Presi le chiavi e salii al terzo piano. Aprii
la porta con cura, entrai. Sul tavolo del soggiorno c'era un
foglietto. Riconobbi subito la scrittura di mia madre, tutta
piegata verso sinistra, scostante, quasi nevrotica. Una
calligrafia inconfondibile. Mi avvicnai. Diceva che la mia cena
era gia' pronta, e che lei e papa' erano andati a festeggiare a
casa di amici. Concludeva il messaggio un post-scriptum: Buon
Anno, Lele.
Mi levai il cappotto e mi tuffai in cucina.

Era ancora presto per la festa. Gianni mi aspettava per le
dieci e mancava una buona ora e mezzo all'appuntamento. Mi
sedetti sulla poltrona e aprii il giornale. Diedi un'occhiata qua
e la' agli articoli che mi interessasvano. Nella pagina di
cronaca, in basso a destra; c'era un trafiletto in corsivo.
Aguzzai la vista.

-Mimmo C., un giovane di diciassette anni, si e' tolto la vita
la scosa notte sparandosi un colpo alla tempia con la pistola
del padre...

Pensai, in questi casi l'arma e' SEMPRE del padre...
Continuava:

-I motivi che hanno spinto il giovane al folle gesto sono
tuttora sconosciuti. I genitori stessi, disperati, non sanno
darsi una spiegazione all'accaduto...

Ripiegai il giornale e lo appoggiai da qualche parte. Mimmo
C., 17 anni. Allora e' cosi' che succede, pensai. E' proprio
cosi' che succede. Uno sconfitto dalla vita non ha via di scampo,
non ha possibilita' di rifarsi. O si ritira una volta per tutte o
e' costretto a soffrire. Immaginai me stesso in una situazione
del genere. Pensai per un po' alla possibilita' di una terza
soluzione; ma proprio quando mi sembro' quasi raggiunta, mi
riversai contro un bracciolo e...

UN romore, forse un botto, mi risveglio'. Guardai l'orologio.
mancava un quarto a mezzanotte. Tutto indolenzito mi alzai dalla
poltrona e raggiunsi la camera da letto. Sopra la scrivania,
aperto in bella mostra, c'era l'invito per la festa a casa di
Silvia. Be', ormai era andata. Presi il biglietto con due dita e
lo stracciai. Mi spostai verso la finestra. In strada non c'era
nessuno. Deserto completo. Mi spoglia, indossai il pigiama e mi
infilai a letto.
Fuori l'Italia era in festa. Il mondo intero era in festa.
Milioni di persone stavano insieme, ballavano e bevevano vino.
Qulacuno di loro aveva il televisore acceso. Pensai a Luce.
Chissa' se Maura era con lui. Ne dubitavo. MI appostai per bene
sotto le coperte. Ero solo. Fissai la sveglia finche' le lancette
non si unirono sulle 12. Poi mentre fuochi e petardi scoppiavano
in cielo disegnando stelle colorate, lanciai un urlo a piena
voce, e rapido m'addormentai.

di CORRADO GUZZON
Via Orelli, 3
20035 LISSONE (MI)